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IL LUTTO - LE CONVINZIONI DEL "SENNO DEL POI" E "DEL SENSO DI COLPA".

Immagine del redattore: Dr Enrichetta ProverbioDr Enrichetta Proverbio

ELABORAZIONE DEL LUTTO: NESSO COL SISTEMA DI ATTACCAMENTO DEL FIGLIO BAMBINO AI GENITORI.

 


Il lutto è un processo tramite il quale impariamo ad amare la persona in assenza, dopo averla amata in presenza. 

Comporta, questo processo, un lavoro psicologico alla ricerca di un senso, di un significato.

Dovremmo pensare che non è la fine di un legame, perché la relazione dura per sempre, ma occorre trasformarla in quanto gli aspetti quotidiani non ci sono più.

Inizialmente si vive in una fase di stupore, incredulità, shock, stordimento.

Si fatica a crederci, si può pensare che il medico o l'infermiere che ha dato la notizia si possa essere sbagliato.

Si entra in una situazione di confusione,gravati spesso da mille incombenze (funerale, documenti, sepoltura ecc), che non fa realizzare pienamente che la persona amata non tornerà più.

Ad un certo punto subentra una irrequietezza motoria: si chiama la persona defunta, si perdono i di lei oggetti ed in realtà ci si chiede se la persona defunta tornerà o non tornerà mai più. 

Spesso il pianto; appaiono immagini intensive; si cerca la persona defunta nei posti dove stava; a volte si pensa a gesti estremi quale ricongiungimento.

Si passa ad esprimere grande collera da protesta con l'intento di richiamare la persona defunta: la rabbia può essere rivolta verso il personale sanitario che pensiamo che forse non ha fatto tutto il possibile, che forse ha causato la morte. 

La collera può essere rivolta verso il defunto che non si è protetto, che non ha pensato a noi. E ancora la collera può essere rivolta verso noi stessi perché non ci si è accorti di quello che stava accadendo, e non abbiamo impedito la morte, anzi magari facilitandola.

Seguono a queste prime fasi altre fasi di depressione, per esempio, quando si inizia a realizzare che la persona non tornerà più: la presenza di altri non riesce a colmare il vuoto, quella solitudine determinata dall'assenza della persona perduta, e il senso di colpa acuisce se ci accorgiamo che non stiamo pensando al defunto ovvero se si iniziano a fare cose senza pensare a lui.

Il percorso può essere variamente lungo prima di giungere a riuscire a confrontarsi col dolore della perdita, adattandoci all'assenza della persona cara senza doverla scordare. 

Nel presente editoriale ci si concentra su due convinzioni che emergono in occasione di gravi lutti, che comportano grande dolore e danno.

Trattasi delle convinzioni del "senno del poi" e "del senso di colpa" attraverso le quali cerchiamo di arginare il nostro sentirci vittime impotenti davanti ad un lutto grave e di dargli un significato.

Col "senno del poi" tendiamo ad attribuire a noi stessi la responsabilità del decesso sulla base di informazioni di cui si viene a conoscenza dopo la morte del defunto: si rimugina sul fatto che avremmo potuto prevederlo o controllarlo, sulla base di segnali che assumano rilevanza dopo la morte.

Ci auto rimproveriamo e auto colpevolizziamo o ci riteniamo gli unici responsabili della morte della persona per un nostro mancato accudimento, per qualcosa che non abbiamo fatto, perché in realtà non sapevamo. 

Immancabile poi è la convinzione del "senso di colpa" ovvero l'attribuire esclusivamente a noi stessi la colpa e il rimprovero, senza valutare tutte le altre influenze esterne che possono avere causato l'evento: c'è un continuo ruminare sulle azioni che abbiamo fatto o su quelle che avremmo potuto fare o non fare, in più o meno, per prevenire o contrastare le conseguenze della morte; trovare il colpevole è come se ci permettesse di mantenere le cose un po sotto il nostro controllo e di ridurre il senso di impotenza rispetto all'accaduto. 

Non solo attribuiamo a noi stessi la responsabilità dell'accaduto perché non ci saremmo accorti di quanto il familiare stava vivendo, ma viviamo il senso di colpa per essere sopravvissuti rispetto al familiare.

Ebbene per questo senso di responsabilità e di essere dei sopravvissuti noi non possiamo essere felici: la rabbia può essere la nostra compagna  di vita perché con essa si tende ad alleviare il senso di colpa.

Oltre alla sofferenza per la morte, si aggiunge un altro grande dolore: la perdita di tutta una serie di scopi e progetti che coinvolgevano e che condivideva con la persona defunta (per esempio la possibilità di condividere una vecchiaia insieme).

L'età in cui si vive il lutto (tanto più si è piccoli tanto sarà più difficile) e la vicinanza (grado di parentela) con la persona defunta rendono il lutto più complicato.

Una morte improvvisa, percepita come se si poteva evitare, rende più difficile l'accettazione della perdita. 

L'elaborazione del lutto.   

Essa dipende dalle idee che abbiamo di noi stessi (e sugli altri) che abbiamo formato nel corso della nostra infanzia, in base alla disponibilità e alla vicinanza "protettiva" che abbiamo sentito dai nostri genitori (sistema di attaccamento).

Un lutto può complicarsi in base alle convinzioni che abbiamo di noi e degli altri: occorre capire se si è adulti con attaccamento sicuro oppure se adulti che evitano di esprimere le emozioni (attaccamento evitante) perché da bambini ci dicevano di non piangere e ci svalutavano  per le emozioni provate. 

In questo secondo caso si vivrà il lutto con finto distacco, senza far vedere il proprio dolore, con scatti di rabbia verso terzi, e momenti di profonda tristezza intimi (dolore incapsulato).

Occorre capire se si è adulti con attaccamento resistente (bambino che resisteva a farsi consolare dai genitori che apparivano ansiosi, emotivamente vulnerabili, incostanti a dare rassicurazione). In questo ultimo caso la persona in lutto sarà molto disperata e triste con grande difficoltà a riorganizzarsi, con sintomi d'ansia, rimuginio, continuando a sentirsi perduta e in colpa a seguito della morte della persona cara.

Occorre quindi rifarsi all'infanzia del soggetto in lutto, per esempio individuando la tendenza del bambino a reagire con paura alla paura del genitore e/o alla fissità dello sguardo di quest'ultimo (per fatti accaduti); ciò è frutto di una contaminazione grazie ai neuroni a specchio di cui siamo dotati. In casi di questo tipo si verifica l'impossibilità di farci consolare essendo figli spaventati proprio dal genitore spaventato a sua volta sia silente. Da tutto ciò si evince la necessità della indagine non solo sul figlio in lutto ma anche sui di lui genitori; sul loro profilo personologico e sugli accadimenti degli stessi i cui effetti sono precipitati sui figli, spesso travolgendoli irrimediabilmente; si scoprirà che le tracce di queste contaminazioni purtroppo si radicano sempre, rivelandosi ed emergendo nei momenti del lutto sotto forma di reazioni e/o capacità o incapacità , difficoltà a rielaborare il lutto stesso.

L'elaborazione del lutto dipenderà dalle idee che noi abbiamo di noi stessi e sugli altri, idee che abbiamo formato nel corso della nostra infanzia, in base alla disponibilità e alla vicinanza protettiva che abbiamo sentito dai nostri genitori (sistema di attaccamento).

Un lutto può complicarsi - come detto - in base alle convinzioni che abbiamo di noi e degli altri, in quanto non tutti i bambini hanno avuto la sorte di godere di un attaccamento sicuro, cioè di essere dei figli che quando chiedevano aiuto ai genitori li consolavano: solo in questi casi l'adulto con attaccamento sicuro saprà manifestare le proprie emozioni legate alla perdita della persona amata, accettando il conforto delle persone a noi vicine, sapendo chiedere aiuto, attraversando in maniera molto fisiologica il nostro lutto superandolo.

Il counselor ad indirizzo psicobiologico può essere un buon compagno di viaggio.


Counselor ad indirizzo psicobiologico

Dott.ssa Avv. Enrichetta Proverbio      

 

 

  

  

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