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Witnessing Violence



Necessità di distinguere il conflitto dalla presenza di una situazione di violenza intrafamiliare (maltrattamenti nella coppia).


Nel mondo della Mediazione Familiare il modello ESBI (elaborato dalla dr. Isabella Buzzi) insegna ai Mediatori di occuparsi dei bambini solo indirettamente.

Il Mediatore Familiare con empatia e accoglienza si occupa delle relazioni in famiglia, aiutando le coppie ad ascoltarsi, a comunicare, per auspicare, ambire, identificare e realizzare un futuro diverso nel contempo e successivamente alla loro separazione qualsivoglia essa sia ( separazione di fatto, separazione legale, separazione temporanea in pausa riflessiva).


Il Mediazione Familiare non incontra i figli pur ponendoli al centro della rielaborazione del ménage familiare. Il Mediatore Familiare si sforza senza risparmio affinché i genitori capiscano l’essenziale e centrale importanza di occuparsi, pensare, provvedere ai figli offrendo loro un ambiente calmo, amorevole, sicuro, sereno, confortevole nonostante la separazione e pausa riflessiva: esattamente una organizzazione di vita incentrata sui bambini e sul soddisfacimento dei loro bisogni.


Nel contesto del percorso di mediazione familiare il Mediatore si imbatte in situazioni conflittuali anche intense nella coppia e tra le persone che si rivolgono per essere sostenuti.

A volte i conflitti anche aspri hanno connotazioni violente, in presenza di bambini. E’ essenziale che il Mediatore Familiare sappia leggere la realtà, individuando il mero conflitto seppur forte, da un lato, e

la violenza assistita spesso tanto nascosta ma molto diffusa, dall’altro lato.


In cosa consiste la “violenza assistita” (witnessing violence)? La violenza assistita costituisce buona parte della violenza intradomestica, invisibile, strisciante. Il Comitato per i diritti del Fanciullo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sostiene che l’espressione “violenza” contenutanella Convenzione di New York debba essere intesa in senso estensivo, ricomprendendo forme di negligenza e abbandono.


E l’0rganizzazione Mondiale della Sanità ha affinato il concetto di violenza: maltrattamento emotivo provocante danno attuale o potenziale alla salute del bambino e alla sua dignità. La violenza assistita è prevista come aggravante del reato di “maltrattamenti in famiglia” nell’art. 572 c.p. : “ …il minore di

diciotto anni che assiste ai maltrattamenti …. si considera persona offesa dal reato “.


In tema dei bambini e dei ragazzi testimoni, in famiglia, delle violenze subite da un membro del nucleo familiare: ebbene, su questo tema sottovalutato e misconosciuto è estremamente importante che il Mediatore eserciti il compito, in modo agiudicante ma fermo, di cogliere gli estremi di una simile realtà per ingenerare consapevolezza in coloro - spesso genitori - che spesso, pur subendo, non arrivano a comprendere la gravità della situazione.


Culturalmente è ancora poco approfondita e sottovalutata la circostanza secondo cui assistere alla violenza perpetrata su un’altra persona costituisca di per sé stessa violenza. Il solo percepire gli effetti di una violenza su terzi costituisce violenza.


E ciò in quanto secondo il sentire comune la famiglia è un luogo provatissimo, sacro, istituzione che va difesa ad oltranza essendo per definizione e cultura positiva e protettiva: ebbene non è così.

Gli stereotipi sulla famiglia - appena evocati - bloccano l’emersione della violenza assistita.


Quante volte i clienti del Mediatore Familiare o dell’Avvocato si sente dire: “ Mi picchia ma con i figli è un ottimo genitore “. La realtà non è questa. Troppo spesso le stesse vittime di violenza primaria ( fisica, psicologica, economica ) non hanno la consapevolezza della violenza assistita perpetrata verso i figli.


Quando un genitore picchia l’altro, lo svaluta o lo costringe a vivere in condizioni non sostenibili, di sudditanza materiale ed emotiva, tutto ciò impedisce ai figli - che percepiscono sempre la violenza o ne sono testimoni diretti - di poter godere di quell’ambiente sicuro ed adatto alla loro vita, crescita, formazione alla quale tutti i bambini, ragazzi, hanno diritto e bisogno.


Alcuni dati significativi pubblicati dal CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’infanzia) il 23 giugno 2017 (linee guida): “ Su 100.000 minorenni maltrattati in carico ai Servizi Sociali, il 19% dei bambini, bambine, ragazzi sono vittime di violenza assistita. Questo significa che è un bambino su cinque fra quelli seguiti per il maltrattamento ad essere testimone di violenza

domestica intrafamiliare, in particolare sulle madri.”


In realtà il fenomeno è sottostimato e i numeri reali sono ben altri, ma purtroppo non emergono e quindi non catalogabili. Alla base di questa non emersione ci sono le resistenze culturali già accennate.

Non corretta differenziazione tra conflittualità e maltrattamenti nella coppia. I Mediatori Familiari devono dotarsi di competenze e strumenti cha consentano loro di captare la realtà della coppia o delle persone in mediazione in generale, tenendo ben presente la sempre centrale posizione dei figli in un contesto familiare dove c’è violenza.


E ciò in quanto la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica ( nota come Convenzione di Istambul ) datata 11 Maggio 2011 ha previsto che nei casi di violenza intra domestica la Mediazione Familiare non è possibile, ciò imponendo la necessità di evitare la vittimizzazione secondaria delle vittime di violenza.


Ciò posto e fermo tale divieto, il Mediatore Familiare deve comunque prodigarsi, anche nel mentre acquisisce le conoscenze della realtà delle persone che si sono rivolte a lui, per diffondere la cultura del rispetto dell’altro e porre l’accento - centrale - sull’attenzione che occorre prestare sulla espressione costruttiva, e non distruttiva, dell’affetto istintivo che ogni genitore prova nei confronti dei figli.


Infatti l’affetto istintivo verso i figli può essere espresso in maniera costruttiva o distruttiva.

Il Mediatore Familiare deve diffondere comunque la cultura del bene, della pace, dell'amore, salvo fermarsi quando comprende la realtà veramente violenta, esulando a quel punto dalle proprie competenze la trattazione del caso.


Essenzialità del riconoscere la violenza per rendere consapevoli agenti e vittime, e per fermarsi - il Mediatore Familiare - laddove si esula dalle competenze di legge.


Come fare?

● Mantenere l’attenzione sui bambini acquisendo dati sui loro comportamenti e sulle loro reazioni all’interno e all’esterno delle mura domestiche.

● Approfondire i meccanismi relazionali tra le parti e le loro manifestazioni: in sostanza gli stili del ménage che hanno caratterizzato le relazioni tra i componenti del nucleo.

● Valutare - con operazione delicata e complessa - la presenza dei meccanismi della violenza tenendo presente le reazioni di evitamento dei soggetti coinvolti spesso per pura confusione o ignoranza sulla corretta distinzione tra conflitto e violenza.


Quando c’è violenza in famiglia?

Dove si ravvisa la differenza tra conflitto e violenza in famiglia?

C’è violenza in famiglia quando la relazione è asimmetrica, e cioè quando nella relazione stessa uno dei due utilizza la violenza per mantenere la propria posizione di sopraffazione e potere.

Ciò che permette di distinguere la violenza da un semplice litigio di coppia non sono le parole offensive o le botte, ma l’asimmetria nella relazione.


La violenza nella famiglia non è una emergenza del momento:

è una presenza costante, si configura come un trend costante e sistematico che il maltrattante stabilisce e mantiene nel tempo con lo scopo di annientare, di sopraffare l’altro.


Quando c’è conflitto in famiglia?

Il conflitto pur grave, acceso, magari con connotazioni e tratti violenti, avviene tra due pari, cioè tra due persone che si sentono pari senza l’obiettivo di annientare, soverchiare l’altro.

Nel conflitto l’identità di ciascuno in quanto persona è preservata.

Ebbene.

Il Mediatore Familiare è chiamato a mediare nel contesto della conflittualità, tendendo a sensibilizzare le persone, aiutandole, a riorganizzare il proprio ménage e la vita familiare oltre il conflitto, mettendo i figli al centro. Di fronte alla violenza il lavoro del Mediatore Familiare non è possibile finché c’è detta violenza e non solo perché sussiste un divieto di legge ma perché ciò potrebbe danneggiare le vittime, anche ritardando o omettendo l’intervento della Autorità competente.


Il Mediatore Familiare occorre che segnali il termine del proprio compito al momento della scoperta, ovvero del percepimento, della situazione violenta, affinché vengano attivate altre risorse preposte e competenti a tutela dei soggetti vittime della violenza stessa.

Dott.ssa Enrichetta Proverbio Counselor Psicobiologico
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